Arte, finanza e fisco: trilogia intrigante, ma confusa. Ci pensa la riforma fiscale

Per i comuni risparmiatori che fanno scelte razionali di investimento, le opere e gli oggetti d’arte e di antiquariato si pongono come opzioni gratificanti per lo spirito, oltre che per il portafoglio. Lo Stato non rimane insensibile a queste attività e s’inserisce con un’efficace attività di tutela dei beni d’arte e manovrando la leva fiscale sulla loro commercializzazione e sui rendimenti ottenuti mediante plusvalenze o altri proventi. La mancanza di una normativa specifica ha contribuito non poco, però, all’incertezza registrata sulla corretta configurazione dei presupposti della tassazione. Ecco perché la riforma fiscale, nell’ovvio presupposto che l’attività abituale e continuativa del trading di opere d’arte sia in ogni caso da tassare nei modi ordinari, propri del reddito d’impresa, ha voluto anche disciplinare l’area residuale, spesso grigia, delle operazioni estranee all’esercizio di attività d’impresa, compiute dai collezionisti, che vengono ricondotte alla categoria dei redditi diversi, istituendo una nuova categoria: le plusvalenze conseguite dai collezionisti di opere d’arte, al di fuori dell’esercizio dell’attività d’impresa. Ma c’è di più: si possono pagare imposte e tasse e mediante cessione di beni culturali e di opere d’arte. In pochi lo sanno!